domenica 6 ottobre 2013

Gli spaventosi scherzi del Mino -Racconti e ricordi legati alla Lessinia -

Dipinto di John Atkinson Grimshaw (1882)

Lo zio Beppe era ancora studente universitario quando un amico lo portò per la prima volta nella solitaria contrada semidiroccata affacciata su un pascolo scosceso, che divenne poi la sua tana per molti anni.
 Il suo carattere schivo, ironico, amante della natura e della solitudine, lo spinse a cercare un luogo tranquillo che gli permettesse di concentrasi sulla stesura della sua tesi di laurea, dandogli la possibilità di rilassarsi facendo lunghe passeggiate nei boschi. Cominciò a passare lunghi periodi nella vecchia casa dell'amico, girovagando a piedi, studiando la flora del posto ed intervistando i vecchi montanari che gli raccontarono tante storie. Fatti e ricordi nei quali il confine tra realtà e leggenda si perdeva nella nebbia del tempo. Storie di streghe e grotte misteriose in cui si verificavano strani eventi atmosferici, incontri di montanari con il mitico Orco o con il terribile Basilisco, il serpente dalla testa di gallo capace di uccidere con il solo sguardo, visioni di spettri e creature fantastiche.
Il Basilisco
Ho sempre avuto l'impressione che lo zio credesse - o volesse credere - a quelle storie meravigliose, e forse, sperando di incontrare un folletto, prese l'abitudine di fare lunghe passeggiate notturne nei boschi.

Così, dopo il calar del sole, il temerario Beppe  impugnava un grosso bastone , indossava gli scarponi ed usciva in perlustrazione. Quando, negli anni successivi, cominciai anch'io, insieme alla mia famiglia, a passare le vacanze estive in contrada, rabbrividivo sempre al pensiero dello zio solo di notte in mezzo a quegli alberi scuri, tra i quali io non avrei avuto il coraggio di avventurarmi nemmeno in pieno giorno.

In una delle case al limitare della contrada abitava  il Mino, un enigmatico personaggio. Misantropo, beffardo e taciturno, il Mino aveva come passatempo prediletto l'inventare burle per terrorizzare le persone. Visto che da tempo la contrada era abitata, oltre a lui, solamente da una coppia di contadini abituati alle sue bizzarrie, la sua vittima principale divenne il giovane studente vicino di casa.

Una sera d'estate lo zio decise di scendere a piedi in paese. All'andata tutto filò liscio, l'aria tiepida e profumata di fiori ed erba, metteva addosso il buonumore e la voglia di camminare. In paese, Beppe si fermò all'osteria a bere un bicchiere di vino e a scambiare quattro chiacchiere.  Ma accingendosi a tornare,  poco dopo la mezzanotte, si accorse che grossi nuvoloni neri stavano velocemente oscurando le stelle, mentre il metallico brontolio del tuono annunciava un temporale estivo. Affrettò il passo, imboccando la ripida strada sterrata che conduceva alla contrada. Intanto cominciò a soffiare un vento forte che agitava le chiome degli alberi, facendo assomigliare lo stormire di migliaia di foglie al rumore di un mare agitato.
Il sentiero che porta alla contrada è, ancora oggi, molto ripido e lungo circa un kilometro. Di recente è stato parzialmente asfaltato, ma all'epoca dei fatti era pieno di sassi e buche. Da un lato si alza la roccia nuda della montagna, dall'altro si apre lo strapiombo di una valle: percorrerlo non è agevole di giorno, figuriamoci in piena notte! A metà percorso la strada sembra interrompersi bruscamente sulla valle sottostante, invece compie una deviazione secca per proseguire verso sinistra, diventando ancora più ripida e stretta. In questo punto del sentiero gli antichi montanari avevano posto un piccolo capitello in pietra raffigurante un volto di Madonna: quel tratto di strada suscitava timore anche nei tempi passati.
Dunque Beppe si trovava, quella notte, proprio all'altezza del capitello, con la tempesta in arrivo e l'intermittente bagliore dei lampi che per brevi istanti illuminava il sentiero, allorchè un lampo più intenso si accese nel cielo mettendo in evidenza la nera ed immobile figura di un uomo avvolto in un tabarro, con un cappello calato sul viso... Ecco dunque il mitico Orco del bosco, che secondo la leggenda è in grado di assumere qualsiasi forma allo scopo di impaurire e confondere gli ignari viandanti!  Pochi secondi e un altro lampo illuminò l'intera valle. Con un tempismo sorprendente grazie al quale si produsse un effetto scenico magistrale, la nera figura, che si trovava qualche metro sul sentiero più in alto, rispetto allo zio, aprì le braccia spalancando così anche l'ampio mantello e in questa posizione, sbarrando la strada allo sbigottito Beppe, quell'essere emise una sonora risata, tanto potente da sovrastare  l'urlo del vento. Un istante dopo, la misteriosa presenza girò i tacchi e svanì tra gli alberi di nocciole, veloce come un gatto selvatico.
Tornato a casa, lo zio meditò sulla faccenda e si convinse che l'inquietante incontro non fosse dovuto al vino bevuto all'osteria e nemmeno al sortilegio di qualche creatura della foresta, ma si trattasse di uno scherzo ben riuscito  di quel simpaticone del Mino, che, avendolo visto scendere in paese, si era appostato nel bosco per sorprenderlo con quella messinscena particolarmente ben riuscita, soprattutto grazie all'atmosfera spaventosa creata dalla tempesta.
Beppe sapeva che spesso il Mino lo seguiva nei boschi, cercando di non farsi vedere. Si nascondeva tra i cespugli e si divertiva a tirare sassolini o a provocare rumori battendo sui tronchi degli alberi  e spezzando rami secchi.

Una notte di qualche tempo prima, lo zio era rimasto sveglio fin quasi all'alba  concentrato nello studio e per parecchie ore era stato disturbato dai rumori furtivi di qualcuno che si aggirava intorno alla casa. Più di una volta era uscito a vedere, ma non aveva incontrato anima viva. Come se non bastasse, ad un certo punto era mancata la corrente, e proprio in quel momento un'ignota mano aveva scagliato dall'esterno una manciata di piccoli sassi sul vetro  della finestra della cucina. Affacciatosi per controllare, Beppe si era trovato davanti il volto bianco e spettrale del Mino schiacciato contro il vetro!


La contrada protagonista di tante avventure, la freccia indica la casa dove stavamo

Negli anni in cui io cominciai a salire in contrada per le vacanze, il Mino era già passato a miglior vita. Papà e lo zio Beppe, raccontandosi delle trascorse avventure che vedevano protagonista il bizzarro personaggio, lo nominavano dicendo sempre il "poro Mino".   Poro, cioè poveretto, era l'aggettivo usato dai vecchi montanari in segno di rispetto e pietà verso coloro che erano morti.
Nel mio immaginario il Mino, però, non era affatto una povera anima pacificata. Infatti anche nell'aldilà, egli manteneva il suo carattere beffardo e dispettoso e anzi, la sua nuova condizione di spirito gli avrebbe permesso di giocare scherzi ancora più terribili alle ignare vittime che si fossero trovate a passeggiare nei boschi da lui infestati. E mi piaceva immaginare il suo bianco spettro svolazzare nottetempo intorno alla contrada, temendo e desiderando di vederlo, affacciato ad una delle numerose finestre della vecchia casa.







4 commenti:

  1. Personaggi come il poro Nino impreziosiscono le storie dei paesi. E' stato un vero piacere leggerti. Sono arrivata al tuo blog da "Con un filo" e ogni tanto entro a sbirciare un po', complimenti per tutto quello che fai. C.

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  2. Ti ringrazio! Per me è un piacere scrivere, sapendo che c'è qualcuno che legge e apprezza questi ricordi-racconti della Lessinia che avevo fissato su un quaderno e abbandonato in un cassetto.
    Torna a trovarmi!

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  3. Ti ho inserita nei miei blog e ti leggo un poco alla volta, quando riesco alla sera. E' un piacere.

    La Lessinia l'ho vista dall'alto, dal monte Carega durante un' escursione, ricordo un'immensa distesa verde. Da visitare! C.

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