giovedì 2 maggio 2013

Un fantasma fiorentino

John Atkinson Grimshaw, 1882



Se avete perso tempo a leggere il post del primo maggio sulla rimembranza, vi sarete accorti che ho inserito delle citazioni tratte dagli scritti di Giacomo Leopardi e che l'argomento stesso del post è decisamente leopardiano. Ebbene, Leopardi fu il mio grande amore degli ultimi anni delle superiori. Conoscevo a memoria le vicende della sua travagliata esistenza e leggevo in continuazione i suoi Piccoli e Grandi Idilli. Il destino volle che all'esame di maturità una delle tracce del tema fosse proprio sul Leopardi; naturalmente scelsi quella, senza indugio, convinta di far bene. Ma l'agitazione e la grande emozione di quella mattina influirono molto sulla mia capacità di concentrazione e il risultato non fu certo quello che di solito si definisce un capolavoro!
Durante questa settimana ho rispolverato il mio Poeta, dopo anni, e mi ha fatto bene. Tra i miei libri  ho trovato un volumetto intitolato CXI Pensieri, in cui sono raccolte  massime e brevi riflessioni sulla natura umana, della quale il genio di Recanati era un acuto e fine osservatore. Ieri sera mi sono imbattuta in una storiella, realmente accaduta ad Antonio Ranieri, carissimo amico di Leopardi, che il Poeta racconta per divertire il lettore.
Da appassionata di vecchi racconti di fantasmi, l'ho trovata davvero curiosa e penso sia simpatico condividerla con voi.

"Questo che segue non è un pensiero, ma un racconto, ch'io pongo qui per isvagamento del lettore. Un mio amico, anzi compagno della mia vita, Antonio Ranieri, giovane che, se vive, e se gli uomini non vengono a capo di rendere inutili i doni ch'egli ha dalla natura, presto sarà significato abbastanza dal solo nome, abitava meco nel 1831 in Firenze. Una sera di state, passado per Via buia, trovò in sul canto, presso alla piazza del Duomo, sotto una finestra terrena  del palazzo che ora è de' Riccardi, fermata molta gente, che diceva tutta spaventata: ih, la fantasima! E  guardando per la finestra nella stanza, dove non era latro lume che quello che vi batteva dentro da una delle lanterne della città, vide egli stesso come un'ombra di donna, che scagliava le braccia di qua e di là, e nel resto immobile. Ma avendo pel capo altri pensieri, passò oltre, e per quella sera nè per tutto il giorno vegnente non si ricordò  di quell'incontro. L'altra sera, alla stessa ora, abbattendosi a ripassare dallo stesso luogo, vi trovò raccolta più moltitudine che la sera innanzi, e udì che ripetevano collo stesso terrore: ih, la fantasima! E riguardando per entro la finestra, rivide  quella stessa ombra, che pure, senza fare altro moto, scoteva le braccia. Era la finestra non molto più alta da terra che una statura d'uomo, e uno tra la moltitudine che pareva un birro, disse: s'i avessi qualcuno che mi sostenessi 'n sulle spalle, i' vi monterei, per guardare  che v'è là drento. Al che soggiunse Ranieri: se voi mi sostenete, monterò io. E dettogli da quello, montate, montò su, ponendogli i piedi in sugli omeri, e trovò presso l'inferriata della finestra, disteso in sulla spalliera di una seggiola un grembiale nero, che agitato dal vento, faceva quell'apparenza di braccia che si scagliassero; e sopra la seggiola, appoggiata alla medesima spalliera, una rocca da filare, che pareva il capo dell'ombra: la quale rocca il Ranieri presa in mano, mostrò al popolo adunato, che con molto riso si disperse.   (...) "   (G. Leopardi, Pensieri, IV)
           

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