lunedì 29 settembre 2014

La poesia della danza contro la violenza dei fucili - Presidio del 27 settembre contro l'ordinanza ammazza lupi



Sabato 27 settembre ho partecipato, insieme a mia sorella, al corteo-presidio contro la folle ordinanza del sindaco della nostra città che permetterebbe di sparare ai lupi della Lessinia qualora si avvicinassero ai centri abitati.
Sembra diventata una moda quella di  reintrodurre gli animali selvatici in alcune zone per poi ammazzarli appena qualcuno protesta. Comunque non ho capito come sia possibile emettere un'ordinanza per uccidere i lupi che sono animali minacciati dall'estinzione e per questo tutelati dalla legge in tutto il Paese... Mah, qualcuno me lo spieghi.



Se avete partecipato, qualche volta, ad una manifestazione in favore dei diritti animali, sapete che dovete tapparvi le orecchie e la bocca per non sentire e rispondere ai numerosi insulti e  prese in giro da parte dei passanti. "Siete fuori d testa", "Teste di c....", "Andate a lavorare", "Pazzi, esaltati", sono le offese più leggere. Io ho una mia teoria sull'aggressività gratuita dei non-animalisti verso gli animalisti, mi piacerebbe conoscere le vostre idee, amici. Scrivetele nei commenti, se ne avete voglia.


La manifestazione di sabato mi è piaciuta perchè ha saputo rispondere all'arroganza, alla violenza e agli immancabili insulti di certa gente con la bellezza, l'arte e l'innocenza di una bambina. Durante il presidio, infatti,  è stato dato spazio alla lettura del tema di una bimba, che con la sua penna semplice e genuina ha voluto dar voce ai cuccioli orfani dell'orsa Daniza, raccontando la loro difficile vita dopo la morte della madre. Infine, una ragazza si è esibita in una malinconica e toccante danza. Senza parole ha saputo rappresentare con grazia e poesia la vita di una creatura innocente stroncata dalla violenza umana.
 Un pensiero rivolto a tutte le vittime indifese, a qualsiai specie esse appartengano.

Vi lascio il video qui sotto.

A presto, amici.




giovedì 25 settembre 2014

La torta dell'Olivetta con noci, cioccolato, amaretti e ricotta

E' arrivato l'autunno.
Durante il giorno la temperatura è ancora mite e possiamo godere del sole che tanto ci è mancato nella piovosa estate appena conclusa; ma i pomeriggi si sono accorciati e dopo il tramonto fa fresco.
Cominciano a calare le ombre della sera quando andiamo a fare la passeggiata prima di cena alla Chiesetta di Madonna del Monte ; una leggera foschia si alza dai campi e l'aria umida è impregnata dell'odore dolce e pungente dell'uva matura.
Io amo l'autunno e la sua delicata malinconia. Una stagione di mezzo, sospesa tra la luce e l'ombra, nella quale sogni e speranze sembrano realizzabili, e non importa se poi così non sarà, perchè l'essenziale è continuare a sognare e a sperare.






Oggi ho fatto questa torta ripensando a quella che ci regalava la signora Olivetta quando salivamo in contrada. Era un dolce buonissimo, anche se, all'epoca, io bambina non riuscivo a mangiarne che qualche boccone perchè il ripieno aveva un sapore leggermente alcolico, di liquore che mi faceva venir mal di testa ; un sapore che comunque mi è rimasto nella memoria. Ho deciso di provare a riprodurlo e credo di esserci riuscita.



L'Olivetta e suo marito Silvino vivevano in una grande casa bianca nei pressi di un cupo bosco di abeti, all'inizio della contrada. Quel bosco mi incuteva timore perchè era buio e silenzioso e lo zio Beppe sosteneva che al suo interno vivesse una strega, perciò non vi andavo mai da sola.
La casa dell'Olivetta era, invece, molto graziosa: curata ed accogliente, con il camino e la stufa a legna. In estate il piccolo giardino sul davanti si colorava di  meravigliosi fiori che crescevano apparentemente senza sforzo né cure da parte della proprietaria. Ricordo che mia nonna, la quale possedeva un pollice verde fino ad ora ineguagliato in famiglia, ogni volta guardava ammirata ed un po' invidiosa le meravigliose dalie dell'Olivetta, più grosse e robuste di quelle che crescevano nel suo giardino in città.

Silvino e Olivetta erano gli unici abitanti sopravvissuti allo spopolamento della contrada; coltivavano i campi per ottenere il fieno, curavano l'orto, avevano 5 o 6 mucche e qualche gallina; facevano un formaggio molto saporito che Silvino preparava all'interno di una casupola con le pareti tutte annerite dalla fuliggine proveniente dal grande camino.
 I miei genitori dicevano spesso che questi due montanari, con le mani dure e callose, che si alzavano all'alba per governare le bestie, che non si concedevano vacanze in hotel né altri svaghi, erano più felici di noi perché non conoscevano lo stress della vita in città e riuscivano a vivere decorosamente producendo quasi tutto ciò di cui necessitava lo loro esistenza semplice e frugale.


Silvino era un uomo alto e magro, scuro di pelle, aveva una capigliatura folta ed ispida, gli mancavano alcuni denti e camminava un po' curvo con passo lento e pesante. Mi piaceva osservarlo mentre dalla tasca estraeva una scatoletta di latta contenente del tabacco e delle cartine bianche con le quali si fabbricava le sigarette che poi fumava con visibile soddisfazione. Mio padre e mio zio apprezzavano molto la compagnia di Silvino: lo vedevano come una specie di maestro di vita.
Mia nonna confondeva il nome e si rivolgeva a Silvino chiamandolo Severino o, peggio, Sederino! Fortunatamente egli era un po' sordo e non sempre si accorgeva dell'errore.

Olivetta era una bella donna, alta ed asciutta, con bei capelli castani naturalmente mossi quasi ricci,  aveva occhi vivaci che ridevano sempre e guance rosse e sode. Indossava perennemente una gonna  e tanti golfini sovrapposti dai colori indefiniti. Aveva un carattere dolce, mite e modi gentili.  Era molto contenta quando arrivavamo in contrada perchè costituivamo una piacevole novità nella monotonia della vita in montagna, inoltre lei e mia madre andavano d'accordo e si ritrovavano spesso, dopo cena, sedute davanti alla stufa a chiacchierare. Ogni volta ci accoglieva con un cesto colmo di noci e nocciole raccolte nei boschi o con questa fantastica torta che oggi ho tentato di riprodurre.



INGREDIENTI

Per la frolla:

300 g di farina 00
100 g di burro
80 g di zucchero di canna
1 uovo
1 cucchiaio di lievito per dolci
1 cucchiaio di essenza di vaniglia
1 pizzico di sale

Per il ripieno:

250 g di ricotta
100 g di gherigli di noce
100 g di cioccolato fondente
50 g di amaretti
 1 cucchiaio di zucchero di canna
1 bicchierino di liquore Marsala o di rum



PREPARAZIONE

Preparare una classica pasta frolla mescolando tutti gli ingredienti, amalgamandoli fino ad ottenere una palla liscia, compatta ed omogenea che coprirete con pellicola e metterete a riposare in frigo per almeno un'ora ( io l'ho preparata la sera e l'ho lasciata riposare tutta la notte).






Preparate il ripieno sgusciando le noci e sminuzzando grossolanamente i gherigli con un coltello, sminuzzate anche il cioccolato e gli amaretti.


Trascorso il tempo di riposo, togliete la pasta dal frigo, ammorbiditela un po' con le mani e tagliatela in 2 parti; quindi con un mattarello formate due dischi sottili circa 5 mm.


Adagiate uno dei due dischi in una teglia rotonda foderata di carta forno o imburrata ed infarinata.
 Poi preparate il ripieno unendo alla ricotta tutti gli ingredienti, mescolandoli bene.


Spalmate il ripieno all'interno del disco di pasta già disposto nella tortiera e coprite con il secondo disco, saldando bene i bordi e bucherellandone la superficie.


Infornate a 180 gradi per circa 30 minuti.

Il risultato sarà una torta ripiena, squisita, ottima come dessert o da offrire alle amiche accompagnata da un buon caffè, in uno dei prossimi pomeriggi d'autunno.





Un caro saluto a tutti!

                                           


                                                                                                                Giorgia


domenica 21 settembre 2014

Oro e colore: piccolo omaggio a Klimt

Ciondolo con miniatura tempera su legno; ispirato a Le tre età della donna di Klimt
Bentrovati! Come avete passato l'ultima settimana d'estate?
Per quanto mi riguarda, tra qualche impegno lavorativo, l'ennesimo preventivo per la ristrutturazione della Casetta in Lessinia , e qualche preoccupazione per la sorte del Lupo in Lessinia, sono stata abbastanza bene.
Ho incominciato a creare qualcosa per i mercatini di Natale, perchè fortunatamente, anche quest'anno, sono stata selezionata per partecipare alla mostra-mercato Natale in Arsenale che si terrà dal 6 al 21 dicembre! Sembra che ci sia un'infinità di tempo da qui a dicembre, invece, a ben guardare, mancano circa due mesi e mezzo. Quindi ho ripreso in mano i pennelli per creare dei nuovi pendenti in legno dipinto.





Che gran passione sono per me questi pendenti! Ogni volta, vedere come da un anonimo pezzettino di legno, piano piano, nascano dei piccoli dipinti da indossare, mi diverte e mi esalta.


In questi giorni ho realizzato tre ciondoli ispirati all'opera di Gustav Klimt. Pur amando molto questo Artista ed essendo rimasta incantata di fronte alla bellezza dei suoi dipinti visti in una mostra qualche anno fa, avevo sempre evitato di riprodurre le sue opere. Negli ultimi anni ce le hanno propinate in tutte le salse; soprattutto le più famose, come il celeberrimo Bacio, che abbiamo viso e stravisto su magliette, borse, penne, tazze da caffè e chi più ne ha più ne metta... Insomma, purtroppo mi aveva un po' annoiato. Però qualche giorno fa, mi è capitato tra le mani un libretto sulla vita e l'opera del Pittore, acquistato proprio a quella mostra; guardando i particolari dei dipinti e rimanendo, ancora una volta, estasiata da quei colori e quell'uso dell'oro, ho pensato: cavoli! potrei fare dei pendenti bellissimi

Così ho cominciato a dipingere e quello che vi mostro è il risultato.
Klimt è un pittore molto divertente da riprodurre, penso che, se la mia ispirazione non mi
abbandonerà, realizzerò altri ciondoli.



















Alla fine ho ceduto, realizzando anch'io una mini versione del popolarissimo Bacio... Quanto è bella quest'opera di Klimt! Così elegante, onirica e ricca di simboli; non c'è che dire: la sua fama è del tutto meritata.

Ciondolo con miniatura tempera su legno, ispirato a Il Bacio di Klimt
Ciondoli Il bacio e profilo tratto da Bisce d'Acqua



Vi auguro una buona domenica!
 A presto


Giorgia


sabato 13 settembre 2014

Una riflessione sulla morte dell'orsa Daniza


In questi giorni si sta parlando molto dell'uccisione "per errore" -così dicono i responsabili- di Daniza, la mamma orsa che in agosto aveva leggermente ferito un incauto cercatore di funghi, il quale, molto stupidamente, si era avvicinato ai due cuccioli del mammifero, nei boschi del Trentino.

Gli orsi sono stati reintrodotti in questa regione grazie a un finanziamento europeo; un progetto bello e lodevole che, ovviamente, richiede una gestione cosapevole della vita e della convivenza di questi grossi predatori con l'essere umano, cosa che, visto come è finita la vicenda in questione, non è stata fatta o è stata fatta in maniera scorretta e negligente.
Secondo gli etologi interpellati, l'orsa si è comportata naturalmente, come qualsiasi madre avrebbe fatto se avesse fiutato una minaccia per i suoi figli; e quel genio di fungaiolo nascosto dietro un albero troppo vicino ai cuccioli, è stato giudicato come minaccioso, quindi Daniza ha agito per spaventarlo, senza peraltro ferirlo gravemente, dimostrando quindi intelligenza e controllo della sua grande forza fisica. Tuttavia queste logiche considerazioni non sono state accettate dalle autorità trentine che, prese da un' assurda schizofrenia, hanno dato il via ad una  caccia all'orso, fregandosene delle centinaia di migliaia di firme, lettere di protesta e diffide giunte da tutto il Paese.
Alla fine, dopo un mese di assedio, la povera Daniza è stata uccisa, lasciando orfani i suoi due cuccioli di appena sette mesi, i quali, forse, non sopravviveranno all'inverno senza la guida esperta della madre.  Una mamma orsa uccisa solo per aver fatto la mamma orsa, insomma.

Personalmente tutta la vicenda mi ha lasciata sconcertata ed amareggiata, sia per l'ingiusta morte di un animale colpevole solo di essersi comportato come Madre Natura gli ha insegnato, sia per le inutili polemiche da bar dello sport che ne sono seguite, con il ridicolo dividersi in due fazioni degli animalisti e degli anti-animalisti.
Ma perchè, mi chiedo spesso, in Italia finisce sempre così?
Perchè ogni volta si finisce a dividersi in rossi e neri, destra e sinistra, pro o contro, con le tifoserie e gli insulti come se tutto fosse un eterno derby calcistico?

In questo Paese mancano il rispetto e la considerazione per tutto, tranne che per il portafoglio e per il prorpio ego.
 Ho letto commenti pregni del più insulso qualunquismo fatti da persone che credevo intelligenti, e ciò mi ha sconfortata. Come si fa a dire: vi commuovete per un'orsa e non per il femminicidio?! Oppure: gli animalisti amano più gi orsi degli esseri umani?! Ma complimentoni!... Quali grandi pensieri filosofici... Che sublimi spremute possono uscire dalle vostre pregiate meningi!!!
Ormai questi discorsi mi provocano la nausea.

Il problema del rispetto dell'ambiente, degli animali che ci vivono, l'ingiustizia della morte di un innocente, l'incompetenza dei governanti, l'ignoranza e l'arroganza di alcune persone sono un problema per tutti, non solo per gli animalisti, è così difficile da capire?
Tutti noi possiamo, un giorno, trovarci a fare la fine di Daniza... pensateci, tutti noi siamo Daniza.



Giorgia

venerdì 12 settembre 2014

Un tuffo negli "Anni folli"



Cari amici come va?
Come sempre in questo periodo a mezza via tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno, io oscillo tra l'inquietudine e la malinco-noia. Non mi piace il clima, indeciso tra afa e fresco, con le zanzare agguerrite nello sferrare gli ultimi attacchi, e non mi piace l'atmosfera che vede tutti impazziti in macchina, per le strade, tutti presi dalla frenesia perchè riaprono  le scuole e ricomincia il lavoro.
Eh sì, mi sto lamentando per nulla: mi sento un po' antipatica e rompiscatole... Il rifugio nella lettura e nella creatività è, come sempre, il miglior antidoto.

La scorsa settimana ho partecipato con il banchetto dei bijoux di Laboratorio Oltremare ad un festival musicale di 4 serate. Abbiamo fatto le ore piccole per quattro giorni ed è stato stancante, però l'entusiasmo dei preparativi è sempre un toccasana per scacciare le malinconie di periodi come questo.

Ho rifatto l'allestimento del mio banchetto, prendendo spunto dagli orecchini con le stampe della moda anni '20 che creai durante l'inverno e che mi piacciono sempre tanto... Eccoli qua:http://laboratorioltremare.blogspot.it/2014/03/bijoux-per-inguaribili-romantiche.html




Ne ho fatti altri meno minimali per le amanti delle perline e degli orecchini vistosi; a me piacciono in particolare indossati dalle ragazze con la chioma lunga e fluente:



L'aspetto più divertente è stata la progettazione e la realizzazione di un espositore per orecchini a forma di grammofono, fatto con il cartone degli scatoloni del negozio di alimentari all'angolo della via... Guardate che carino!


E  poi, da un'ideona del mio compagno, è nata Emily, altrimenti detta "La Signorina", ossia una scatola - di cartone riciclato, naturalmente - che contiene una di quelle cornici che fanno scorrere le foto digitali con accompagnamento di musica jazz anni '20.





Ed ecco Emily in tutto il suo splendore, con la classica cloche decorata da una vezzosa rosa di carta, i guanti neri, l'immancabile collana lunga di perle e gli occhi truccati di nero, come voleva la nuova moda dell'epoca, in aperto contrasto con il vecchio gusto che apprezzava solo le ragazze acqua e sapone.




Il festival era dedicato alla sostenibilità ambientale, al riciclo e al risparmio energetico, quindi il mio banchetto fatto di oggetti creati con la carta riciclata era al posto giusto. L'unica preoccupazione, con tutto quel materiale sensibile all'umidità, era costituita dal pericolo pioggia e temporali, ma stranamente in quei quattro giorni il tempo è stato clemente.



In queste serate erano presenti anche alcuni banchetti con specialità gastronomiche antiche o sconosciute ai più. Io sono rimasta colpita dalle miasse, un piatto povero proveniente dal Piemonte; si tratta di una sfoglia sottile di farina di mais e acqua -in pratica è come la polenta- cotta su piastre arroventate dal fuoco e farcita con un formaggio locale tipo ricotta, insaporito da un gustoso mix di spezie come cumino, peperoncino, semi di finocchio... Che bontà amici! Peccato che non riuscirò mai a rifarla in casa, perchè ci vuole molta abilità per fare sfoglie di polenta così sottili riuscendo a cuocerle rigirandole sul fuoco!


Per oggi vi saluto, carissimi... A presto!





Giorgia

mercoledì 3 settembre 2014

Restauro e tecnica esecutiva di un'icona antica

 In alto: prima e dopo la pulitura; sottto: il ritocco e restauro finito
Finalmente su Laboratorio Oltremare torniamo a scrivere di restauro. Dopo aver parlato di torte, fantasmi, megere antipatiche e bijoux eccomi qui oggi a presentarvi uno degli ultimi lavori conclusi: il restauro dell'icona di Santa Parasceve.

Si è trattato di un lavoro molto lungo e paziente che sono felicissima di aver svolto per l'esperienza che mi ha permesso di acquisire, ma soprattutto perchè ho potuto vedere ed approfondire, toccando con mano, la tecnica originale antica con cui le  vere icone  venivano realizzate.
Io amo dipingere (il termine corretto sarebbe scrivere) icone bizantine con la tecnica tradizionale; potete quindi immaginare quanto interesse ed emozione abbia suscitato in me l'avere la possibilità di osservare da vicino il lavoro che  l'antico iconografo ha fatto su questa icona.




Queste sono alcune foto di icone  che ho realizzato negli ultimi anni:



























Se siete curiosi di sapere come è nata la mia passione per l'iconografia, date un'occhiata a questi vecchi post: L'iconografia -prima parte ; L'iconografia - seconda parte

Ma cosa c'è di tanto affascinante nell'iconografia?
Non so, sarebbe lungo da spiegare. Io ci trovo lo stesso fascino che mi trasmette il restauro di un oggetto antico. Forse è la tecnica esecutiva ad incantarmi. Una tecnica fatta di gesti lenti e sapienti, fatta di concentrazione e silenzio, colori e misteriosi materiali dall'odore antico.
Qui  un breve filmato che mostra la fase delle campiture in una piccola icona dell'Annunciazione da me realizzata lo scorso anno.




La tecnica esecutiva delle icone
           

Le icone erano dipinte su tavole di legno, generalmente di tiglio, larice o abete. Le parti del tronco scelte erano le migliori. Il legno veniva  lasciato stagionare molti mesi per far uscire tutta l’umidità. Quindi le tavole erano pronte per essere lavorate. Sul lato interno della tavoletta in genere era effettuato uno scavo che veniva chiamato “scrigno” , "arca" o “culla” in modo da lasciare una cornice in rilievo sui bordi. 

La  "culla"
La cornice, oltre a proteggere la pittura, rappresentava lo stacco tra il piano terrestre e quello divino in cui veniva posta la raffigurazione. Sulla superficie del legno veniva poi incollata una tela con colla di coniglio, che serviva ad ammortizzare i movimenti del legno rispetto agli strati superiori. La tela, infatti,  era successivamente ricoperta con diversi strati di colla di coniglio e gesso, che opportunamente lisciati, con pelle di pesce essiccata o carte vetrate, consentivano di ottenere una superficie perfettamente omogenea e levigata, adatta ad accogliere la doratura e la pittura.

Icona di S.Parasceve-In questa lacuna si vede la tela messa tra legno e gesso


 A questo punto si iniziava a tratteggiare il disegno. Si partiva con uno schizzo della rappresentazione, il successivo processo era quello della pittura. S’iniziava con la  doratura di tutti i particolari (bordi dell’icona, pieghe dei vestiti, sfondo, aureola o nimbo). La doratura simboleggiava la luce divina, e costituiva una fase molto importante nella creazione dell’icona. Si usavano solo oro e argento, metalli preziosi e nobili che venivano ridotti in fogli sottilissimi da artigiani chiamati battilori, i quali, come indica il loro stesso nome, battevano con dei martelli sulle monete d’oro fino a trasformarle in fogli sottili.

Gli strumenti della doratura

 Quindi si cominciava col dipingere i vestiti, gli edifici e il paesaggio. Le ultime pennellate venivano effettuate con la  pura biacca (bianco di piombo, pigmento velenoso). L’effetto tridimensionale veniva reso da tratti più scuri distribuiti in modo uniforme.

Disegno, doratura dei nimbi e prime campiture di colore

 Particolare cura assumeva la lavorazione dei volti. In genere si partiva da una base di colore scuro ottenuto con un miscuglio di ocre, cui venivano sovrapposti strati di schiarimento con colori più chiari. Questo procedimento simboleggiava il percorso del credente che con la fede passa dell’oscurità dell’ignoranza e del peccato alla luce di Dio. Successivamente balenii di luce chiari, ottenuti con l’ocra mescolata alla biacca, erano posti sulle parti in rilievo del volto: zigomi, naso, fronte e capelli. La vernice rossa era disposta in uno strato sottile attorno alle labbra, sulle guance e sulla punta del naso. Infine con una vernice marrone chiara si ripassav il disegno (graphìa): i bordi, gli occhi, le ciglia ed eventualmente i baffi o la barba.

Schiarimenti graduali del volto


 I colori erano ottenuti da sostanze naturali, vegetali o minerali, oppure erano il prodotto di piccoli processi chimici come l'ossidazione i metalli. Pestati a mortaio, macinati finemente, essi erano uniti al tuorlo dell'uovo che agisce da legante.

I pigmenti


Il restauro di Santa Parasceve

L'icona è arrivata nelle mie mani in condizioni non molto buone:  in molti punti la pellicola pittorica non era ben adesa al supporto ligneo, vi erano varie lacune e crettature profonde, inoltre era stata ridipinta più volte nel corso degli anni ed erano evidenti tracce di un restauro grossolano e mal eseguito; il tutto era coperto da uno spesso strato di vernice lucidissima (il famoso effetto caramella) che dava all'immagine un tono brunastro e innaturale.

Prima del restauro
 
L'iscrizione attestante il soggetto rovinata da fessure e crettature


Ho deciso di effettuare prima di tutto il consolidamento degli strati pittorici con piccole iniezioni di colla calda.

 Quindi sono passata alla rimozione della vernice "caramella", delle ridipinture e del restauro mal fatto. Questo il risultato:


Tassello di pulitura : a sinistra vedete il blu più brillante
dopo la pulitura e la rimozione delle ridipinture
Infine ho stuccato tutte le lacune e mi sono dedicata al ritocco pittorico e al ripristino della doratura dove necessario.


Restauro concluso

Ed ecco Santa Parasceve "rimessa in forma"!


Per ora è tutto, amici... spero di non avervi annoiati!


A presto








                                                                              Giorgia